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C’è un rapporto tra le sempre più
numerose operazioni della Guardia di Finanza che scovano i cosiddetti “finti
poveri” e le varie misure di contrasto alla povertà? In altri termini, non è
che il proliferare di siffatte misure (in attesa che entri in vigore il reddito
di cittadinanza) abbia convinto tanta gente a barare facendosi passare per
povero? E, nel caso di risposta affermativa, i Caf (Centro assistenza fiscale)
che ruolo giocano? Sono, in qualche modo, anch’essi delle vittime di chi pensa
di fare il furbo? Il dubbio si insinua, soprattutto tenendo conto che, come
accennato, le operazioni contro i “finti poveri” sono sempre più all’ordine del
giorno. E allora, alle domande di cui sopra, come si risponde?
A sentire i
diretti interessati, cioè i Caf, dinanzi ai quali vengono presentati tutti i
documenti (Isee ed altro) per poter accedere alle misure di contrasto alla
povertà, questa presunta assonanza tra i “finti poveri” e le suddette misure è
impossibile. Già, perché, hanno chiaramente spiegato quei centri che abbiamo
provato a sondare, quando il cittadino fa domanda per ottenere il reddito
minimo o il rei (reddito d’inclusione), non può barare in quanto il singolo
ente preposto a redigere la relativa istanza chiede normalmente al diretto interessato
tutti i documenti necessari. Ne deriva che la situazione che viene descritta
dal soggetto (cioè il reddito, la situazione familiare e, in buona sostanza,
quella patrimoniale), è sostanzialmente veritiera e, dunque, certificata. E
allora, come è possibile che ci sia un proliferare di “finti poveri”?
Probabile, ci hanno spiegato dai vari Caf interpellati, che tale situazione si
verifichi nel momento i cui il cittadino presenti un’istanza per ottenere altro
tipo di agevolazione attraverso l’autocertificazione.
Come dire che i furbetti
fanno tutto da soli, o quasi. Insomma, a sentire i centri di assistenza fiscale
non ci sarebbe alcuna relazione tra le magagne individuate dalla Guardia di
Finanza e misure come reddito minimo di inserimento e rei, mentre è ben
possibile che la “furbata” venga posta in essere in altro modo, cioè senza
passare dinanzi ai Caf. Resta da comprendere come sia possibile che,
soprattutto in questo periodo, vengano alla luce le magagne dei cosiddetti
“finti poveri”: possibile che sia solo un caso e che questa crescita dei casi
scoperti sia solo da addebitare all’intensificazione delle attività
investigative specifiche poste in essere dalla Guardia di Finanza?
Il dubbio
rimane e, nell’augurarci che i “finti poveri” possano essere sempre meno (così
come quelli effettivi, perché ciò vorrebbe significare un miglioramento
generale della situazione economico-patrimoniale degli italiani), la speranza è
che ci possa essere meno propensione a raggirare il prossimo e, quindi, lo
Stato. Solo attraverso una rinnovata legalità e un consapevole freno alla
furberia, infatti, potranno migliorare le condizioni di vita generali
dell’italiano medio. Che siano “finti poveri” o “finti ciechi”, infatti, la
sostanza non cambia: è ora di cambiare registro.
Piero Miolla
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