Come è ormai chiaro a tutti finalmente andremo a votare alle politiche,
cosa che non succedeva da tempo, direi troppo. Ciò, inevitabilmente, porta ad
un’assennata corsa fatta di promesse, sorrisi e buone intenzioni.
Nulla di strano se non fosse per il fatto che le
promesse poi vanno mantenute! Si sentono, infatti, tanti buoni propositi e
ricette miracolose che dopo, stranamente, diventano difficili ed
irrealizzabili. Routine conosciuta e ormai anacronistica, visto il reiterato
utilizzo decennale ma purtroppo resta un must
della politica, un evergreen a quanto
pare.
Il suo utilizzo non è rimasto confinato negli schemi
della vecchia politica, anzi è stato ripreso come e più di prima probabilmente
seguendo i preziosi consigli del commentariolum petitionis di Cicerone. Questo
manualetto in forma epistolare scritto da Quinto Tullio Cicerone con lo scopo
di dare consigli al più conosciuto fratello, Marco Tullio, per farsi eleggere
al Senato della Repubblica, altro non è che un’attenta riflessione
sull’importanza di apparire migliori di quello che si è, al fine di conquistare
consensi elettorali anche promettendo cose irrealizzabili.
Ebbene sì, questo viene consigliato in detto testo e,
probabilmente, sono tanti i politici che lo hanno letto. Invero lo scopo non è
quello di realizzare. Almeno non sempre. Ma di far credere di poterlo fare.
Questa, però, è un’altra storia su cui sarà interessante soffermarci, ma non
ora.
Nell’attuale riflessione diventa inevitabile
analizzare, semplicemente, la credibilità. È indubbio che governare è cosa ben
più complicata del promettere quindi, a volte, inciampare nelle lungaggini
della burocrazia o cambiare le priorità di intervento è fisiologico, ma è
altrettanto vero che questo diventa, troppo spesso, un alibi.
Inoltre diventa poco credibile sottolineare difficoltà
realizzative su argomenti costitutivi e su cui si è fondato gran parte del
consenso elettorale. Tale atteggiamento rischia di minare, oltre che i propri
principi, anche quella coerenza che distingue la campagna elettorale
dall’amministrare, l’opposizione dall’esecutivo, le chiacchiere dai fatti.
Ad esempio può succedere che in un luogo dove c’erano
tutte le condizioni per realizzare ciò che si è promesso (fermento,
volontariato, regole) questo non avvenga. Vi voglio parlare della
sbandieratissima democrazia partecipata, dal basso, sussidarietà orizzontale,
cittadinanza attiva. Si può dire in tanti modi, ma quello che ancora non si può
dire è che ci sia!
Mi duole ricordare, infatti, che sono ancora al vaglio
dei nostri amministratori due mezzi che nutrirebbero concretamente la fame di
partecipazione e collaborazione che a quanto pare recriminano tutti a parole,
sia gli amministrati che gli amministratori.
Si sta parlando del progetto di cittadinanza attiva,
esplicatosi in un regolamento con una delibera del Consiglio comunale del 18
marzo 2016 (primo comune lucano) di cui, ad oggi, non c’è traccia e neanche
contezza, nonostante le numerose sollecitazioni fatte in prima persona e non
solo. Strumento di un’importanza rilevante sotto svariati aspetti più volte
analizzati in dibattiti aperti e partecipati, ma snobbato da chi l’ha usato
solo come mezzo della propria “mission”.
L’altro è una proposta finalizzata a regolamentare la
convocazione del Consiglio comunale aperto smarcandola dall’attuale dinamica
“di concessione”, per evolverla in autonoma fattispecie, fissandone i
presupposti per la sua attuazione (quest’ultima ferma dal 2016 data in cui è
stata protocollata).
Entrambi mezzi di democrazia diretta, orfani di un
esecutore e non di un portavoce e questo pare paradossale alla luce dei
principi della governance. I pochi mezzi a disposizione dello scrivente sono
stati attivati per sollecitare ed avere informazioni a riguardo ma, purtroppo,
alle rassicurazioni non sono seguiti i
fatti, come nella più classica delle storie, sicuramente per mole di lavoro o
per il poco tempo dall’insediamento.
Probabilmente tengo in un modo particolare a queste
istanze (e per questo le ho inoltrate), mentre sono cose di poco conto e non
utili alla comunità. Ma se è così, come mai le si voleva fare in campagna
elettorale?
Leonardo Galeazzo
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