Bacino dei fosfogessi del Sin di Tito, qualcosa si
muove. Ma per il resto? Poca roba, considerando che i due Siti d’Interesse
Nazionale lucani (oltre a Tito c’è quello della Valbasento), la bonifica
continua ad essere una vera e propria chimera. La notizia di questi giorni
circa l’affidamento del servizio di caratterizzazione radiologica propedeutico
alla bonifica del bacino fosfogessi dell’area dell’ex Liquichimica di Tito
scalo, se, da un lato, rappresenta un’importante operazione preliminare alla
messa in sicurezza del famigerato bacino titese, dall’altro non risolve e non
assorbe i clamorosi ritardi sul tema.
“Espletate le procedure di sottoscrizione
del contratto si potrà finalmente dare inizio alla caratterizzazione
radiologica del sito, con l’obiettivo di dare concretezza all’intervento di
bonifica e messa in sicurezza permanente del bacino fosfogessi”, ha dichiarato
l’assessore all’Ambiente della Regione Basilicata, Francesco Pietrantuono. Già,
ma il resto?
Sia a Tito che in Val Basento qual è lo stato dell’arte? Senza
entrare nei dettagli delle singole operazioni, il ritardo è innegabile e non
può essere negato. Troppo lenta e a macchia di leopardo, infatti, è stata la
macchina regionale che aveva ed ha il compito di istruire le pratiche per
giungere alla bonifica. I due Sin, va ricordato, sono stati designati come aree
da bonificare nei primi anni 2000: va da sé che, essendo oggi nel 2018, sono
passati quasi venti anni senza che quelle martoriate aree e le rispettive
popolazioni abbiano potuto vedere non solo non completata l’opera di pulizia e
messa in sicurezza, ma anche solo una parte di siffatta operazione. Per non
parlare, poi, delle ali tarpate alle ambizioni di rilancio delle due aree
industriali, che, senza la bonifica, non potranno mai ripartire essendo
impossibilitate ad attrarre investitori e imprenditori.
Insomma, una perfetta
storia lucana: una storia del “vorrei ma non posso”, o, meglio, non ci riesco.
Tornando al bacino dei fosfogessi, Pietrantuono ha reso noto che la Suarb
(Stazione unica appaltante della Regione Basilicata) ha disposto l’efficacia
dell’aggiudicazione della procedura di gara in favore della Rti Protex italia,
capogruppo mandataria, in associazione con Sgm e Apogeo. L’assessore regionale
ha ragione quando auspica che si chiuda “un annoso capitolo sul tema del
risanamento ai fini del riuso delle aree classificate siti di interesse
nazionale. Il risultato è particolarmente significativo perché si tratta di un
sito interessato dalla problematica della radioattività naturale rilevata da
Arpab nel corso del 2013, condizione che ha determinato l’attivazione della
procedura prevista dal decreto legislativo 230/95, coordinata dal Prefetto di
Potenza e che ha richiesto l’attivazione di una apposita commissione tecnica
prefettizia di valutazione del progetto di caratterizzazione”.
Peccato che,
come anticipato, fino ad ora si siano accumulati ritardo clamorosi. Il tema è
delicato, s’intende, e meriterebbe (o, meglio, avrebbe meritato soprattutto in
passato) uno sforzo più incisivo e dettagliato. Ma tant’è. Alla bonifica, va
ricordato, si dovrebbe arrivare grazie a un complesso percorso di attuazione
dell’accordo quadro rafforzato, sottoscritto nel 2013 dalla Regione con i
ministeri dello Sviluppo Economico e dell’Ambiente per la definizione di 10
interventi di messa in sicurezza e di bonifica delle acque di falda e dei suoli
nei Sin di Tito (quattro interventi) e Val Basento (sei interventi). Tra
questi, anche quello relativo al sito ex Materit, nell’area industriale di
Ferrandina: una sorta di polveriera (di amianto) a cielo aperto in merito alla
quale anche l’Inail è dovuto intervenire per segnalare la situazione molto
grave in cui versa quell’area.
Piero Miolla
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