Quattrocentocinquanta richieste di malattia professionale, 216 decessi, 8 mesoteliomi, 65 adenocarcinomi
polmonari e, ancora, carcinomi all’apparato uro-genitale e leucemie. Sembra un
vero e proprio bollettino di guerra quello contenuto nella banca dati dell’Aiea
(Associazione italiana esposti amianto) sezione Valbasento, presieduta da Mario
Murgia.
Numeri che riguardano la sola area industriale basentana, tra
Ferrandina e Pisticci, dove l’amianto, ma non solo, ha imperversato per anni ed
ora, come dimostra il caso Materit, necessita di urgente bonifica. Numeri che
fanno il paio con quelli nazionali, relativi alle patologie asbesto-correlate,
rese note di recente dall’Ona (Osservatorio nazionale amianto), secondo cui in
Italia sono in aumento, almeno nel 2017, i morti per amianto. Sono 6mila in
totale, di cui 3.600 per tumore polmonare, 1.800 per mesotelioma e 600 per
asbestosi. Oltre ai numeri dei decessi, già di per sé abbastanza inquietanti,
l’Ona ha anche reso noto che, sempre nel Belpaese, sono ancora 40 milioni le
tonnellate di amianto da bonificare e circa 1 milione i siti contaminati.
Parliamo sia di edifici privati che pubblici, tra cui 2.400 scuole, 250
ospedali e 1.000 tra biblioteche ed edifici culturali. Tutti questi dati sono
contenuti nel “Libro Bianco delle morti di amianto in Italia”,
dell’Osservatorio diretto dall’avvocato Ezio Bonanni. Secondo il rapporto, il
trend è in aumento dalla fine degli anni ottanta e, purtroppo, continuerà nei
prossimi anni con un picco previsto nel 2025-2030. Sempre secondo i dati dell’Ona,
nel 2000 i decessi per mesotelioma erano 1.124 e quelli per tumore polmonare
2.200.
Una vera e propria strage silenziosa, dunque, che nei prossimi anni
potrebbe portare a più di 60mila morti. Per Bonanni la causa del trend in
crescita “è la maggiore esposizione e i lunghi tempi di latenza, che variano
dai 33 ai 38 anni”. Ma se l’Italia piange, il resto del mondo non ride: i morti
per amianto, infatti, secondo l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) con
riferimento solo a quelli di origine professionale, sarebbe stato di 104mila.
Numeri impressionanti, quindi, che possono essere fermati solo evitando nuove
esposizioni all’amianto.
Il problema, purtroppo, è che le nuove esposizioni non
si bloccano solo con fabbriche che non prevedono più l’amianto: anche e
soprattutto in Basilicata, infatti, siamo ancora molto indietro con le
bonifiche, come dimostra la situazione della Materit di Ferrandina. Sempre
secondo Bonanni “occorre partire con la bonifica totale delle quaranta milioni
di tonnellate di amianto ancora sul nostro territorio, come nei cinquantamila
siti industriali dove questo pericoloso materiale è più concentrato”. Come
fare? L’Osservatorio Nazionale Amianto ha lanciato alcune proposte. Prima tra
tutte quella di togliere l’Iva sugli smaltimenti e introdurre un credito
d’imposta per le bonifiche, sia per le imprese che per i privati.
“Costerebbe
meno bonificare il territorio che curare i malati” ha osservato acutamente
Bonanni. La speranza è che presto, molto presto, vere e proprie bombe ecologiche
come quella della ex Materit (ma non solo) vengano bonificate in modo tale da
riconsegnare un minimo di tranquillità alle popolazioni della Valbasento.
Piero Miolla
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