C’è anche l’ipotesi di reato di disastro innominato
nell’inchiesta sullo smaltimento di 31mila metri cubi di rifiuti speciali
liquidi scaricati nel Basento, per la quale la Procura di Matera ha chiesto il
rinvio a giudizio dei responsabili di Tecnoparco, Syndial, Drop e di alcuni dirigenti
dell’ufficio Ambiente della Provincia di Matera. Lo si apprende dalla “Relazione
finanziaria semestrale consolidata al 30 giugno 2018” di Eni, che, a pagina 78,
contiene un paragrafo denominato “Syndial SpA - Disastro ambientale Ferrandina”,
nel quale si legge: “Nel corso del primo semestre 2018 la Procura di Matera ha
aperto un procedimento penale a carico del Program Manager Sud della Syndial
per i reati di gestione illecita di rifiuti e disastro innominato in relazione a
fatti connessi alle attività di bonifica del sito di Ferrandina/Pisticci. La
contestazione concerne un presunto sversamento di liquidi contaminati nel
sottosuolo e poi nel Basento a causa della rottura di una tubazione di
collegamento interrata che doveva portare gli stessi all’impianto di
trattamento gestito dalla società Tecnoparco. A seguito dell’interrogatorio
dell’indagato, è stata formulata nei suoi confronti la richiesta di rinvio a
giudizio. Il procedimento pende in attesa della fissazione dell’udienza
preliminare”. La notizia della notifica degli avvisi di conclusione delle
indagini preliminari è dello scorso 29 maggio, pubblicata sulle nostre colonne
il giorno successivo. Le indagini cominciarono a marzo 2012: secondo l’accusa i
rifiuti liquidi degli stabilimenti Drop e Syndial, a Ferrandina, dovevano
andare a Tecnoparco, per essere smaltiti: dal 1999 la Syndial, società del
gruppo Eni che si occupa di risanamento ambientale, gestisce un’area
diaframmata di 12 ettari che ospita i terreni inquinati derivanti dalla
bonifica dell’ex Liquichimica di Ferrandina. Secondo l’accusa la condotta
fognaria che doveva servire a trasferire i liquami a Tecnoparco fu danneggiata
dall’alluvione del marzo 2011 e, da quel momento, i rifiuti liquidi finirono
“per caduta nel Basento e, quindi, nel mare”, esponendo le persone al pericolo
della presenza nei rifiuti liquidi di manganese, cloruro di vinile dicloretano,
dicloroetilene, tricloroetilene e tricloretano per un totale di 31.688 metri
cubi, corrispondenti a circa mille autobotti. Dopo l’alluvione la condotta fu
ripristinata, anche se, per l’accusa, l’alluvione del 2013 l’avrebbe di nuovo
danneggiata. Sarà l’udienza preliminare a decidere se rinviare a giudizio o
meno le persone coinvolte.
Piero Miolla
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