venerdì 17 agosto 2018

Inchiesta sversamento rifiuti speciali nel Basento: c'è una novità.

 
C’è anche l’ipotesi di reato di disastro innominato nell’inchiesta sullo smaltimento di 31mila metri cubi di rifiuti speciali liquidi scaricati nel Basento, per la quale la Procura di Matera ha chiesto il rinvio a giudizio dei responsabili di Tecnoparco, Syndial, Drop e di alcuni dirigenti dell’ufficio Ambiente della Provincia di Matera. Lo si apprende dalla “Relazione finanziaria semestrale consolidata al 30 giugno 2018” di Eni, che, a pagina 78, contiene un paragrafo denominato “Syndial SpA - Disastro ambientale Ferrandina”, nel quale si legge: “Nel corso del primo semestre 2018 la Procura di Matera ha aperto un procedimento penale a carico del Program Manager Sud della Syndial per i reati di gestione illecita di rifiuti e disastro innominato in relazione a fatti connessi alle attività di bonifica del sito di Ferrandina/Pisticci. La contestazione concerne un presunto sversamento di liquidi contaminati nel sottosuolo e poi nel Basento a causa della rottura di una tubazione di collegamento interrata che doveva portare gli stessi all’impianto di trattamento gestito dalla società Tecnoparco. A seguito dell’interrogatorio dell’indagato, è stata formulata nei suoi confronti la richiesta di rinvio a giudizio. Il procedimento pende in attesa della fissazione dell’udienza preliminare”. La notizia della notifica degli avvisi di conclusione delle indagini preliminari è dello scorso 29 maggio, pubblicata sulle nostre colonne il giorno successivo. Le indagini cominciarono a marzo 2012: secondo l’accusa i rifiuti liquidi degli stabilimenti Drop e Syndial, a Ferrandina, dovevano andare a Tecnoparco, per essere smaltiti: dal 1999 la Syndial, società del gruppo Eni che si occupa di risanamento ambientale, gestisce un’area diaframmata di 12 ettari che ospita i terreni inquinati derivanti dalla bonifica dell’ex Liquichimica di Ferrandina. Secondo l’accusa la condotta fognaria che doveva servire a trasferire i liquami a Tecnoparco fu danneggiata dall’alluvione del marzo 2011 e, da quel momento, i rifiuti liquidi finirono “per caduta nel Basento e, quindi, nel mare”, esponendo le persone al pericolo della presenza nei rifiuti liquidi di manganese, cloruro di vinile dicloretano, dicloroetilene, tricloroetilene e tricloretano per un totale di 31.688 metri cubi, corrispondenti a circa mille autobotti. Dopo l’alluvione la condotta fu ripristinata, anche se, per l’accusa, l’alluvione del 2013 l’avrebbe di nuovo danneggiata. Sarà l’udienza preliminare a decidere se rinviare a giudizio o meno le persone coinvolte.
Piero Miolla 

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