mercoledì 21 marzo 2018

"Il gioco della violenza". Di Leonardo Galeazzo


Riceviamo e volentieri pubblichiamo le riflessioni di un giovane professionista di Pisticci sulla violenza minorile.
"Con stupore e un pò di timore ho appreso dell’ennesimo caso di violenza riguardante soggetti giovanissimi. L’escalation di questo fenomeno detta un’importante riflessione sull’argomento a cominciare dai toni troppo spesso esagerati usati dai grandi e l’attenzione, ormai superflua, per il fattore esempio.
Sono notizie recenti le aggressioni al corpo docente di diversi istituti scolastici da parte di alunni e in altri casi da parte di genitori e di vere e proprie spedizioni punitive in giro per l'Italia.
I dati elaborati nel giugno 2009 dal Dipartimento della Giustizia Minorile riportano che, dal 2000 al 2007, la media annua di minori denunciati alle procure della Repubblica c/o i Tribunali dei Minori era pari a 33.261. Di questi il 17% sono minori < a 14 anni, il 30% hanno tra i 14-15 anni e il 53% sono tra 16-17 anni. L’83% dei reati è compiuto da minori maschi e il 75% sono ragazzi italiani. Purtroppo c' è stato un aumento significativo nell’ultimo decennio. Altro dato interessante riguarda la tipologia di reati che compongono questo "podio": al primo posto ci sono i reati contro il patrimonio a seguire contro la persona e l'incolumità pubblica. Il problema è allarmante e necessita di rimedi ponderati.
Spesso si opera confusione tra devianza e criminalità. Sono due aspetti distinti, anche se il primo può indubbiamente esitare nel secondo. Col termine devianza, si considera un comportamento che ha violato le aspettative di una data norma sociale che abbraccia tutto ciò che viene genericamente definito “normalità”. E’ chiaro che tale concettualizzazione non può che dipendere dall’ambiente sociale e culturale che adotta una norma sociale. C’è un aspetto che non va sottovalutato: la norma sociale è costruita ed imposta dal mondo adulto e, facendo riferimento allo sviluppo psicologico del minore che tende in qualche modo a prendere le distanze dagli adulti, spesso la devianza è usata strumentalmente ai fini della definizione di una propria identità. Questo ci serve, non per giustificare comportamenti discutibili, ma in qualche modo per comprendere e tentare di coinvolgere i giovani nella costruzione di una norma sociale e per introdurre progettualità ed interventi a valenza preventiva. Il termine criminalità o delinquenza fa invece riferimento alla norma giuridica e conseguentemente implica i concetti di imputabilità e responsabilità giudiziale. Analizzando brevemente il pensiero espresso qualche tempo fa dall’ex magistrato Gherardo Colombo si apprezza ciò che saggiamente è stato sottolineato riguardo ad un eccessivo ricorso alla norma penale o alla funzione punitiva della stessa senza prestare uguale attenzione all’importanza dell’educazione deputata ai vari soggetti, fisici e giuridici, della società.
Le motivazioni all’origine di una condotta criminale sono state oggetto di numerosi studi e di teorie psicosociologiche. Le teorie lombrosiane sui fenotipi delinquenziali oggi fanno un pò sorridere.
Il che significa che non si nasce asociali ma lo si diventa. 
I fattori ambientali giocano infatti un ruolo chiave nell’amplificarle o, al contrario, nel contenerle. I fattori che possono prevedere una evoluzione antisociale fanno riferimento essenzialmente alla famiglia, all’ambiente socioeconomico, al gruppo dei pari.
Concettualmente la famiglia è un fattore protettivo, quando coesa ed accuditiva nonché capace di consentire e rispettare l’impegnativo lavoro d’identità dei figli. Ma può tradursi in fattore di rischio nel momento in cui fa ricorso al maltrattamento, è conflittuale, non esercita un adeguato controllo sui figli e sulle loro amicizie, non da importanza allo studio ed all’arricchimento culturale e, soprattutto, se viene lasciata sola dalle istituzioni.
Vittima di un sistema sociale centrato sul consumo. Il consumismo sfrenato, il desiderio di possedere un oggetto feticcio diventa un’arma quando posti di fronte a coloro che non possiedono strumenti adeguati per affrontarlo. Si veicola l’identificazione all’oggetto. I gruppi sono sempre esistiti ma, diversamente dal passato, dove l’identificazione nel gruppo (espressa concretamente nei vari tipi di look: paninari, metallari, punk, raver, punkabbestia ecc...) era simbolo di rottura col mondo adulto, oggi pare che più che una rottura si tratti di espressione di rabbia ed aggressività nei confronti di un sistema che non concede spazi alla spiritualità, alla possibilità di autorealizzazione. 
E’ la caccia al diverso per il colore della pelle, al nemico della squadra avversaria, al membro di un altro gruppo, che sono preoccupanti. E’ indice che l’identità si sta strutturando sulla prevaricazione, sulla legge del più forte. L’idea di suscitare la paura negli altri rende onnipotenti ed incrementa il narcisismo adolescenziale. Sembrano mancare strumenti contentivi della violenza e non mi riferisco alla legislazione o all’attività di vigilanza sul territorio. La violenza si combatte con i valori non con i corsi a scuola contro il bullismo o con i tornelli allo stadio. I valori nascono in primo luogo in famiglia ma purtroppo, come ripetuto in altre occasioni, non riceve un’adeguata valorizzazione nella società odierna. Eppure è sempre stato l’asse portante di qualunque struttura sociale. La protezione della famiglia da parte dello stato è la prima operazione preventiva nei confronti della violenza. Protezione di natura sociale ed economica. 
E’ molto comodo definire l’adolescenza epoca del disagio, scaricandoci dei nostri sensi di colpa, ma è il terreno che il mondo adulto costruisce e nel quale crescono i ragazzi di oggi la peggior fonte di disagio. 
Da un punto di vista psicologico, ci troviamo di fronte a ragazzi che sembrano aver perso il contatto con le regole sociali e prima ancora con la regolazione emotiva. L’”acting out”, cioè l’agire impulsivo e rabbioso a un commento non coerente con le proprie attitudini, determina scoppi d’ira, una corsa alla vendetta che non lascia spazio al dialogo, al confronto, al freno inibitore di determinate tendenze.
Se emergono condotte violente ed antisociali è doveroso domandarsi in quale contesto il giovane non abbia potuto assimilare e fare propri quei limiti che, in questi casi di cronaca, sembrano essere saltati
Per questi ragazzi, l’altro da sé, il diverso, non è un elemento arricchente ma, al contrario, mette in pericolo la propria fragile identità e su questo, se ci guardiamo intorno, gli adulti non stanno dando un bell’esempio.
Bisogna ristrutturare una rete di supporto fatta da servizi scolastici, sociali, sanitari e religiosi che individui precocemente situazioni di criticità e fragilità e attivi un supporto nei confronti dei membri della famiglia, solo così l’arduo compito affidato ai genitori potrà svolgersi in maniera più efficace."
Leonardo Galeazzo


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