Riceviamo e volentieri pubblichiamo le riflessioni di un giovane professionista di Pisticci sulla violenza minorile.
"Con
stupore e un pò di timore ho appreso dell’ennesimo caso di violenza riguardante
soggetti giovanissimi. L’escalation di questo fenomeno detta un’importante
riflessione sull’argomento a cominciare dai toni troppo spesso esagerati usati
dai grandi e l’attenzione, ormai superflua, per il fattore esempio.
Sono
notizie recenti le aggressioni al corpo docente di diversi istituti scolastici
da parte di alunni e in altri casi da parte di genitori e di vere e proprie
spedizioni punitive in giro per l'Italia.
I
dati elaborati nel giugno 2009 dal Dipartimento della Giustizia Minorile
riportano che, dal 2000 al 2007, la media annua di minori denunciati alle
procure della Repubblica c/o i Tribunali dei Minori era pari a 33.261. Di
questi il 17% sono minori < a 14 anni, il 30% hanno tra i 14-15 anni e
il 53% sono tra 16-17 anni. L’83% dei reati è compiuto da minori maschi e il
75% sono ragazzi italiani. Purtroppo c' è stato un aumento significativo nell’ultimo
decennio. Altro dato interessante riguarda la tipologia di reati che compongono
questo "podio": al primo posto ci sono i reati contro il patrimonio a
seguire contro la persona e l'incolumità pubblica. Il problema è allarmante e
necessita di rimedi ponderati.
Spesso
si opera confusione tra devianza e criminalità. Sono due aspetti distinti,
anche se il primo può indubbiamente esitare nel secondo. Col termine devianza,
si considera un comportamento che ha violato le aspettative di una
data norma sociale che abbraccia tutto ciò che viene genericamente definito “normalità”.
E’ chiaro che tale concettualizzazione non può che dipendere dall’ambiente
sociale e culturale che adotta una norma sociale. C’è un aspetto che non va
sottovalutato: la norma sociale è costruita ed imposta dal mondo adulto e,
facendo riferimento allo sviluppo psicologico del minore che tende in qualche
modo a prendere le distanze dagli adulti, spesso la devianza è usata
strumentalmente ai fini della definizione di una propria identità. Questo ci
serve, non per giustificare comportamenti discutibili, ma in qualche modo per
comprendere e tentare di coinvolgere i giovani nella costruzione di una norma
sociale e per introdurre progettualità ed interventi a valenza preventiva. Il
termine criminalità o delinquenza fa invece riferimento alla norma giuridica e
conseguentemente implica i concetti di imputabilità e responsabilità
giudiziale. Analizzando brevemente il pensiero espresso qualche tempo fa dall’ex
magistrato Gherardo Colombo si apprezza ciò che saggiamente è stato
sottolineato riguardo ad un eccessivo ricorso alla norma penale o alla funzione
punitiva della stessa senza prestare uguale attenzione all’importanza dell’educazione
deputata ai vari soggetti, fisici e giuridici, della società.
Le
motivazioni all’origine di una condotta criminale sono state oggetto di
numerosi studi e di teorie psicosociologiche. Le teorie lombrosiane sui
fenotipi delinquenziali oggi fanno un pò sorridere.
Il
che significa che non si nasce asociali ma lo si diventa.
I
fattori ambientali giocano infatti un ruolo chiave nell’amplificarle o, al
contrario, nel contenerle. I fattori che possono prevedere una evoluzione
antisociale fanno riferimento essenzialmente alla famiglia, all’ambiente
socioeconomico, al gruppo dei pari.
Concettualmente
la famiglia è un fattore protettivo, quando coesa ed accuditiva nonché capace
di consentire e rispettare l’impegnativo lavoro d’identità dei figli. Ma può
tradursi in fattore di rischio nel momento in cui fa ricorso al maltrattamento,
è conflittuale, non esercita un adeguato controllo sui figli e sulle loro
amicizie, non da importanza allo studio ed all’arricchimento culturale e,
soprattutto, se viene lasciata sola dalle istituzioni.
Vittima
di un sistema sociale centrato sul consumo. Il consumismo sfrenato, il
desiderio di possedere un oggetto feticcio diventa un’arma quando posti di
fronte a coloro che non possiedono strumenti adeguati per affrontarlo. Si
veicola l’identificazione all’oggetto. I gruppi sono sempre esistiti ma,
diversamente dal passato, dove l’identificazione nel gruppo (espressa
concretamente nei vari tipi di look: paninari, metallari, punk, raver,
punkabbestia ecc...) era simbolo di rottura col mondo adulto, oggi pare che più
che una rottura si tratti di espressione di rabbia ed aggressività nei
confronti di un sistema che non concede spazi alla spiritualità, alla
possibilità di autorealizzazione.
E’
la caccia al diverso per il colore della pelle, al nemico della squadra
avversaria, al membro di un altro gruppo, che sono preoccupanti. E’ indice che
l’identità si sta strutturando sulla prevaricazione, sulla legge del più forte.
L’idea di suscitare la paura negli altri rende onnipotenti ed incrementa il
narcisismo adolescenziale. Sembrano mancare strumenti contentivi della violenza
e non mi riferisco alla legislazione o all’attività di vigilanza sul
territorio. La violenza si combatte con i valori non con i corsi a scuola
contro il bullismo o con i tornelli allo stadio. I valori nascono in primo
luogo in famiglia ma purtroppo, come ripetuto in altre occasioni, non riceve un’adeguata
valorizzazione nella società odierna. Eppure è sempre stato l’asse portante di
qualunque struttura sociale. La protezione della famiglia da parte dello stato
è la prima operazione preventiva nei confronti della violenza. Protezione di
natura sociale ed economica.
E’
molto comodo definire l’adolescenza epoca del disagio, scaricandoci dei nostri
sensi di colpa, ma è il terreno che il mondo adulto costruisce e nel quale
crescono i ragazzi di oggi la peggior fonte di disagio.
Da un punto di vista psicologico, ci troviamo di fronte a ragazzi che
sembrano aver perso il contatto con le regole sociali e prima ancora con la
regolazione emotiva. L’”acting out”, cioè l’agire impulsivo e
rabbioso a un commento non coerente con le proprie attitudini, determina scoppi
d’ira, una corsa alla vendetta che non lascia spazio al dialogo, al confronto,
al freno inibitore di determinate tendenze.
Se emergono condotte violente ed antisociali è doveroso domandarsi in
quale contesto il giovane non abbia potuto assimilare e fare propri quei limiti
che, in questi casi di cronaca, sembrano essere saltati.
Per questi ragazzi, l’altro da sé, il diverso, non è un elemento
arricchente ma, al contrario, mette in pericolo la propria fragile identità e su
questo, se ci guardiamo intorno, gli adulti non stanno dando un bell’esempio.
Bisogna ristrutturare una rete di
supporto fatta da servizi scolastici, sociali, sanitari e religiosi che
individui precocemente situazioni di criticità e fragilità e attivi un supporto
nei confronti dei membri della famiglia, solo così l’arduo compito affidato ai
genitori potrà svolgersi in maniera più efficace."
Leonardo Galeazzo
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