venerdì 16 marzo 2018

L'erosione costiera andrebbe "curata" diversamente. Scoprite come


“Il rimedio principale all’erosione? Consisterebbe nell’aprire con programmazione pluriennale gli scarichi di fondo delle dighe di ogni bacino”. A parlare è Giuseppe Spilotro, già docente della facoltà di Ingegneria dell’Università della Basilicata, che sull’argomento erosione ha ricordato: “E’ stato ampiamente trattato, portando a conclusioni ben esplicitate in lavori vari pubblicati ed in alcuni convegni”. 
Professore, l’erosione costiera del tratto lucano della costa jonica da cosa è determinata? 
“Da un deficit sedimentario. La spiaggia è quello che rimane tra il sedimento che arriva a mare, cioè fiumi, frane costiere ed altro, e quello distribuito dalle correnti marine lungo costa. Se i due contributi si equivalgono, la spiaggia è mediamente stabile; se prevale l’apporto di sedimento, la spiaggia si allarga ed il surplus viene fissato nelle dune e nelle barre; se, invece, il trasporto prevale sugli apporti, la spiaggia va in erosione ed in arretramento. Che è quanto succede attualmente sulla costa jonica della Basilicata”. 
Sul punto, Spilotro è stato chiaro: 
“Su base annua, si stima un mancato apporto di sedimenti di oltre quattro milioni di metri cubi. Il sedimento è intrappolato negli invasi determinati da dighe o traverse, ben diciotto su quattro dei cinque maggiori fiumi sfocianti nel mar Jonio, e in buona parte nei corsi d’acqua a valle delle dighe e traverse, ma privi dell’energia per arrivare a mare. Se le dighe definiscono il deficit sedimentario, cioè la mancanza di arrivo del sedimento a mare, gli sporgenti per infrastrutture portuali o turistiche interrompono il processo di distribuzione del sedimento residuo operato naturalmente dalle correnti marine”. 
Morale della favola? 
“La loro presenza aggrava su almeno uno dei lati al loro bordo il processo erosivo, come recenti misure hanno evidenziato”.
Se questa è la diagnosi, quale la cura? Su questo aspetto il professore Spilotro si mostra, se non in disaccordo con le misure e gli strumenti sin qui utilizzati, cioè le cosiddette barriere soffolte posizionate da qualche anno a Metaponto e in arrivo a Scanzano Jonico, comunque perplesso. “Le barriere soffolte – ha infatti spiegato il professore di Bari - costituiscono un rimedio conservativo, che sposta la criticità dalla linea di spiaggia al loro bordo esterno. Devono quindi essere costruite con particolare attenzione a questa problematica. Si possono riproporre per Scanzano Jonico, ma sarebbe necessaria un’analisi di come hanno funzionato in questi anni quelle di Metaponto”.
Meglio, quindi, utilizzare il rimedio che lo stesso Spilotro ha indicato: aprire gli scarichi di fondo delle dighe lucane. E’ una misura realisticamente attuabile? Fino ad ora, a quanto pare, non se ne è parlato abbastanza, ma di sicuro l’argomento potrebbe far discutere e, probabilmente, non piacere a più di qualcuno. Il problema, però, esiste e va affrontato, altrimenti la Basilicata rischia di rimanere con poca acqua e le coste sempre più erose. 
L’erosione è un problema che attanaglia quasi esclusivamente la costa jonica della Basilicata, mentre non riguarda quella tirrenica della nostra regione. Come mai? Ce lo ha spiegato il professore Giuseppe Spilotro, come sempre preciso e puntuale nelle sue discettazioni. 
“Il contesto geologico e geomorfologico della costa tirrenica della Basilicata - ha spiegato Spilotro - è totalmente diverso da quello della costa jonica. In prevalenza, infatti, si tratta di coste rocciose con piccole baie protette, che non evidenziano problemi particolari”. 
Ma basta spostarsi poco più a Sud, per tornare all’erosione? 
“Problemi molto seri, invece, sono stati segnalati nel tratto immediatamente a sud, quello della cosiddetta foce Noce, in pratica verso Praia a Mare, in provincia di Cosenza. In questo tratto, alimentato dal trasporto solido del fiume Noce, infatti, una serie di sistemazioni sul fiume, mi riferisco alle cosiddette briglie), ha provocato danni fortissimi alla linea di costa ed all’urbanizzazione, forse selvaggia, che era stata fatta. Su questo – ha concluso il già docente dell’Università della Basilicata - è un lavoro pubblicato che documenta il tutto”. 
Piero Miolla
 

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