Le cosiddette indennità di
rischio, originariamente riconosciute ai medici di guardia, poi revocate e, da
ultimo richieste in restituzione, sono legittime e perfettamente compatibili
con il contratto nazionale.
Lo ha stabilito il Giudice del Lavoro di Chieti,
accogliendo il ricorso dei medici di continuità assistenziale di quella
regione, che, come i colleghi lucani, erano stati dapprima privati delle
predette indennità e poi chiamati a restituirle. La sentenza, dunque, potrebbe
aprire nuovi spiragli per i circa mille e cinquecento medici di guardia che, in
Basilicata, sono interessati alla vicenda. Le sentenze, come è noto, fanno
giurisprudenza e la speranza è che anche i magistrati lucani chiamati a
decidere sul tema possano uniformarsi al Giudice del Lavoro di Chieti, a quanto
pare il primo a pronunciarsi sull’argomento.
Il caso è ormai arcinoto ed ha
avuto una serie di step che lo hanno caratterizzato, ad iniziare dalla indagine
avviata dalla Corte dei Conti, in considerazione della quale la Regione Basilicata
(non la sola, ad onor del vero: anche Molise, la Sardegna, il Friuli Venezia
Giulia e, appunto, l’Abruzzo) aveva subito provveduto a revocare, con la
delibera numero 347-17, la corresponsione di siffatte indennità (previste
dall’articolo 35 dell’Accordo Integrativo Regionale per la medicina generale).
Tali indennità, è bene ricordarlo, erano state riconosciute alle ex guardie
mediche per rischi derivanti dalla peculiarità del servizio svolto; per
l’assistenza resa alla popolazione in età̀ pediatrica e per l’usura della
macchina per l’eventuale utilizzo del proprio automezzo. Dopo la revoca delle
indennità, parallelamente via Anzio incaricò le Azienda Sanitarie competenti
per l’avvio del recupero di quelle elargite negli ultimi dieci anni. In totale,
alle ex guardie mediche è stata chiesta la restituzione di una somma pari a
circa diciotto milioni di euro, dei quali dodici ai medici della provincia di
Potenza, sei a quelli del Materano. Tradotto in soldoni, ad ogni medico di
continuità assistenziale è stata chiesta la restituzione di circa cinquecento
euro mensili a testa.
Ne seguirono proteste e la decisione dei medici di
rinunciare alla propria auto in servizio: a quel punto, alcuni dei
professionisti furono costretti ad effettuare interventi di urgenza a piedi o
in bicicletta, ma ben presto questa forma di protesta rientrò. Tornando alla
sentenza di Chieti, il Giudice del Lavoro, Ilaria Prozzo, ha riconosciuto
legittimo l’accordo regionale sottoscritto in Abruzzo con il quale si prevedevano
le indennità citate.
A conti fatti la sentenza abruzzese oltre ad offrire una
sponda importante per nuovi ricorsi da parte dei medici lucani e, soprattutto,
per pronunce similari in Basilicata, potrebbe anche dare alla Regione
l’opportunità di giustificare alla Corte dei Conti la previsione delle
indennità citate. In merito a quest’ultimo punto, però, ci vorrà probabilmente
dapprima una sentenza di uguale tenore pronunciata nella nostra terra, e, di
sicuro, anche una volontà politica di via Anzio. Che, considerando la
prossimità delle elezioni che porteranno alla nomina del nuovo Governatore e
del Consiglio regionale, non è affatto da escludere.
Piero Miolla
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