Un esercito di poco più di 20mila
persone, delle quali risulta assicurato (e quindi in regola) a malapena il 20
per cento. Sono i numeri aggiornati relativi alle badanti che lavorano in
Basilicata. Numeri che raccontano di come il primato dal punto di vista della
nazionalità, in questa categoria lavorativa così importante ma altrettanto poco
tutelata, spetti alle rumene, seguite da bulgare e moldave. Minore, invece, il
numero di polacche, ucraine, peruviane e colombiane che lavorano nel settore in
Basilicata. Proprio queste ultime, però, sembrerebbero essere quelle più
disposte a lavorare in nero.
Che fare, dunque, per arginare questo fenomeno e
renderlo, se non altro, pregno di maggiori garanzie per tutti, ad iniziare
proprio dalle stesse badanti? Va ricordato che, in realtà, via Anzio ha provato
in questi anni ha regimentare e regolamentare il settore. Dapprima con la
“patente per le badanti”, nel 2011, poi con la lista di prenotazione, la prima
in Italia, nel 2015. Con l’obiettivo in quest’ultimo caso di favorire
l’incontro tra domanda e offerta in un settore che, in regione, è da sempre tra
i più frequentati, a cagione del costante invecchiamento della popolazione. Un
fenomeno che, in realtà, riguarda (dal punto di vista di chi svolge questo
lavoro) anche sempre di più gli italiani. I quali, perso il lavoro o finiti
sotto la soglia di povertà, ripiegano sull’attività di badante.
I tentativi
esperiti dalla Regione Basilicata hanno partorito norme e disposizioni con le
quali si è cercato di far rientrare il lavoro nero (basti pensare che, sempre
in Basilicata, mentre sul campo operano poco più di 20mila badanti, secondo i
dati ufficiali, in realtà, solo 3500 unità risulterebbero regolari), ma non
solo. Dall’altro, infatti, l’obiettivo era aiutare le famiglie anche per non
farle svenare. Tutti obiettivi che, allo stato, viste le statistiche, non sono
stati centrati, mentre il settore, complice l’invecchiamento medio della
popolazione lucana (ma, come detto, quella del resto del Belpaese non è che
faccia eccezione) e anche il sempre più disperato bisogno di lavoro di tante
persone indigene ritrovatesi in mezzo ad una strada, è spesso centrale.
A
parole, però, tutti chiedono misure adeguate, sia per tutelare i lavoratori del
settore, che le famiglie. In realtà, complice anche la mancanza di una volontà
legislativa chiara e forte, le cose stanno diversamente. E le badanti in nero
proliferano, comprese quelle italiane che sarebbero circa il 10 per cento di
quella platea citata, stimata in 20mila persone, che costituiscono l’esercito
di assistenti familiari. Tutto questo si traduce anche in cifre: in Basilicata
la stima della spesa annua per le badanti, comprensiva anche di quelle in nero,
si aggirerebbe tra i 15 e i 20 milioni di euro, mentre sarebbero circa 10mila i
lucani che, non avendo possibilità economiche per pagare di una badante,
ripiegherebbero sui propri familiari.
Sullo sfondo, il tema non cambia: se la
Basilicata ha sempre più bisogno di colf e badanti, perché non si riesce (o non
si vuole?) a mettere mano in questo settore così rilevante sia dal punto di
vista sociale che economico? I tentativi sono stati fatti, ma, come detto,
parrebbero non aver centrato gli obiettivi di partenza. E allora, forse, è il
caso di tornare a normare attraverso provvedimenti forse meglio articolati,
ovviamente intensificando l’attenzione e la guardia sul mancato rispetto delle
norme. Almeno di quelle che ci sono. In tal modo, probabilmente, si
raggiungerebbe non solo l’obiettivo di dare maggiori garanzie a chi nel settore
ci lavora, ma, circostanza non da poco, anche quello di dare allo Stato quella
quota di tasse che andrebbero pagate in caso di assunzioni regolari. E’ pura e
semplice utopia?
Piero Miolla
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