venerdì 24 agosto 2018

La sanità lucana e quel sogno (per ora) irrralizzabile.



“La facoltà di Medicina e Chirurgia all’Università di Basilicata? Come ho già avuto modo di comunicare per le attuali regole l’Unibas non può aprire medicina: possono farlo solo gli atenei che hanno già il corso di studio e con alcune limitazioni”. 
Le dichiarazioni di Aurelia Sole, magnifico rettore dell’ateneo lucano, affievoliscono non solo e non tanto le speranze di chi guardava alla nuova facoltà come alla classica panacea per tutti i mali, ma anche, e forse soprattutto, il dibattito che, specie in politica, ha negli ultimi tempi cercato di spiegare e motivare con la mancanza della facoltà di Medicina in Basilicata l’endemica carenza di medici in regione. Un dibattito che, quindi, dopo questa presa di posizione forse cesserà o, se non altro, prenderà un’altra piega. Magari in attesa che cambino le regole o maturino i presupposti per far alzare il livello di offerta formativa dell’ateneo potentino. 
Di recente, va ricordato, a lanciare l’allarma sullo stato di salute della sanità lucana, stretta tra la morsa della mancanza di medici e infermieri, corsi di laurea agognati e blocco del turnover fino al 2020, era stato Gianfranco Gallo, già rappresentante del Tribunale dei Diritti del Malato. Il quale aveva ricordato soprattutto la mancanza di medici e infermieri, con la conseguenza che i sanitari spesso sono costretti a turni massacranti, così come i pazienti mostrano scarsa soddisfazione. 
C’è poi il problema delle ex guardie mediche (al centro in questo ultimi mesi della durissima vertenza sui tagli alle indennità, con annessa richiesta di restituzione di quelle percepite secondo la Regione indebitamente) e quello rappresentato da chi, pur vincendo un concorso e risultando destinato a una determinata sede, la rifiuta rendendo vana quella procedura concorsuale. 
Tornando al tormentone dell’attivazione di un corso di laurea in Medicina all’Università della Basilicata, Gallo aveva osservato che “si investe molto nell’ateneo lucano, con corsi di varia natura, mentre poi non si è dato seguito ad annunci relativi a una facoltà di Medicina in lingua inglese. Morale della favola? Gli studenti lucani che scelgono di diventare medici frequentando il corso di laurea fuori regione, nella stragrande maggioranza non rientrano per esercitare la loro professione: così facendo, dunque, manca la materia prima “indigena” e si è costretti a rivolgersi a professionisti di fuori regione. 
Una situazione difficile, dunque, che forse andrebbe affrontata in altro modo, tenuto conto che attiene alla salute dei lucani. Individuare soluzioni diverse e migliori, quindi, potrebbe essere la mission del nuovo Governo regionale. Perché sullo sfondo c’è, sempre di più, l’endemica mancanza di personale sanitario. UN tema sul quale, evidentemente, non ci si può permettere di scherzare. 
Piero Miolla

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