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In Basilicata la platea dei
lavoratori in nero si attesta sulle 30mila unità. Il dato, reso noto
dall’Alleanza delle Cooperative, fotografa in modo inequivocabile un fenomeno
che stenta ad essere eradicato e che, invece, continua ad alimentarsi. Più nel dettaglio,
nella nostra regione sono vari i comparti interessati dal fenomeno, ad iniziare
dal lavoro stagionale che coinvolge anche mano d’opera proveniente da altre
regioni. Nessun comparto, in pratica, sarebbe esente dal fenomeno, anche se si
sottolinea come quello agricolo sia il più esposto, seguito dall’edilizia e
dalla ristorazione. Particolarmente attivo anche da noi, inoltre, il fenomeno
del lavoro nero nelle cosiddette false cooperative, che prediligono soprattutto
i campi e, in particolar modo, l’area del Metapontino, la cosiddetta
“California del Sud”.
Più in generale, l’area di evasione contributiva
supererebbe, a livello nazionale, i 100 miliardi all’anno: anche in Basilicata,
peraltro, il “nero” toccherebbe cifre importanti, non quantificate, ma comunque
sottratte al fisco con tutte le conseguenze che si possono facilmente
immaginare. Anche da noi, dunque, soprattutto in taluni ambiti, imperano i
cosiddetti “caporali”, i quali impongono salari da fame e, in generale, danno
adito a quel lavoro sottopagato che rappresenta una vera e propria piaga
sociale, oltre che alimentare la voragine fiscale. Un fenomeno, però, che
spesso è tacitamente tollerato da chi avrebbe, invece, la forza per rifiutarlo:
è infatti innegabile che sovente siano gli stessi imprenditori (o, comunque, i
datori di lavoro), che, sapendo di risparmiare, non si fanno troppi problemi a
rivolgersi ai “caporali”.
Insomma, un fenomeno che sembra il più classico dei
cani che si morde la coda, per combattere e sconfiggere il quale ci vorrebbe
innanzitutto la vera, effettiva collaborazione dei datori di lavoro. In secondo
luogo maggiori mezzi e uomini per combatterlo, e, infine, anche leggi e
normative più serrate. La Basilicata, poi, con il suo tessuto sociale e,
soprattutto, con la sua fame di lavoro sembra prestarsi benissimo a farea “da
spalla” al lavoro nero. Ricattare chi cerca un lavoro, specie i più giovani,
torna molto semplice quando il lavoro latita. Una situazione che ci accomuna a
tutto il Meridione d’Italia, dove a volte la parola d’ordine sembra essere
omertà. Difficile, dunque, ribellarsi e denunciare, ma questo vale solo per chi
cerca disperatamente un lavoro. Come detto, invece, la posizione di
imprenditori (agricoli e non solo), commercianti e ristoratori, solo per rimanere
nei settori che sembrano maggiormente colpiti, non può certo essere
assecondata: da loro, soprattutto da loro, dovrebbe partire, se non proprio una
ribellione, quantomeno un segnale.
E’, però, evidente, che a volte anche
l’imposizione fiscale e tributaria porta chi offre lavoro a fare finta di
niente, oppure ad accontentarsi. Per questo il sistema andrebbe rivisto nel suo
insieme, magari cercando di abbassare le tasse. La domanda che in tanti si
fanno, a questo punto, è: riuscirà il tanto decantato “Decreto Dignità” ad
intervenire in positivo sul settore? O, come qualcuno già sostiene, alle buone
intenzioni che avrebbero ispirato il provvedimento non faranno seguito i fatti
auspicati?
Piero Miolla
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